Nella storia della cultura celtica e druidica medievale, dove evidentemente si trovano echi di antichi culti soggetti ad un’interpretazione cristiana, si ha notizia certa dell’esistenza del culto di Hu Gadarn, il quale, come ci ricorda Jean Reynaud[1], era un eroe evemerizzato della migrazione dei Kimris indoeuropei, una sorta di Mosè gaelico.
A lui nel XV secolo venivano rivolte preghiere come a un dio e da alcuni era assimilato a Esus o Hoesus, denominazione tarda e latina di un concetto gallico antico del divino, della quale opportunamente Jean Reynaud trova l’origine nel greco aei-isé: “Colui che è sempre simile a se stesso”.
Esus, citato da Lattanzio e da Lucano, era associato alla quercia e al vischio. Su un altare eretto a Parigi dai commercianti sotto il regno di Tiberio e ritrovato nel Settecento nel cuore della cattedrale di Notre Dame, da una parte c’è Juppiter e dall’altra Esus: un personaggio vestito con il saio gallico, coronato di quercia e armato di un coltello con il quale taglia quello che sembra essere vischio.
Il culto di Hu Gadarn ha avuto una notevole importanza nel Medioevo, tant’è che un bardo cristiano del XV secolo sosteneva esserci due movimenti attivi: uno quello di Cristo e l’altro quello di Hu.
Alcuni bardi identificavano addirittura Cristo con Hu.
I bardi del Medioevo si rivolgevano a Hu Gadarn con devozione: “Sostieni il suo coraggio nelle fatiche della battaglia”, dice il poema di Gadarn-Maelduw. “O Hu, con le ali aperte”, dice il canto di morte di Uther Pendragon. Nell’elegia di Aeddon, attribuita a Taliesin, Hu è onorato come guida delle anime.
Nel XIV secolo Iolo Goch scrive: “Hu Gadarn, il sovrano, il giusto protettore, il monarca, il distributore delle esistenze e della fama, il re della terra e del mare, la vita di tutto ciò che esiste nell’universo”.
Nel XV secolo Hu Gadarn è invocato da Rhys-Bruddyd come “il signore che regna su di noi, il Dio dei nostri misteri”.
Hu Gadarn, secondo Hersart de la Villemarqué era detto il Forte e non era altri che Esus, “il Marte dei Galli”. [2]
Hu Gadarn, secondo un’altra tradizione, era il dio che insegnò agli uomini a coltivare la terra ed era sorto dall’arco (in gaelico: bogha, bogha saighde, slatag): druida primordiale era associato a Bacco, ossia a Dioniso e, conseguentemente a Osiride.
Di grande interesse, questa tradizione in base alla quale Hu Gadarn sarebbe sorto dall’arco, in quanto ci rimanda ad un sostrato antico.
“Nei Veda – scrive Mario Polia – la Morte, intesa come oscura origine della Vita, per crearsi un corpo canta un inno di lode e questo inno è un canto a piena voce (ark) che si accompagna alla gioia (ka) e crea il Cosmo”. [3]
L’oscura origine è l’arché, la racchiusa, la tenebra e il canto è la sua parola, ossia il Logos, che è ark-ka (l’arca dell’alleanza, l’arc en ciel, il ponte). L’arco, l’arcobaleno, l’Arco reale, è la parola sapiente del dio. (vedi in proposito anche il mio: “Le radici scozzesi della Massoneria, Ilmiolibro.it).
“L’arco – sottolinea Polia – è la potenza raccolta e pronta a scagliarsi condensata sulla punta del dardo. E’ immagine di vita (in greco «vita» e «arco» si dicono allo stesso modo: bios) ed è fonte di morte che silenziosamente vola lontano”. [4] L’arco, aggiunge ancora Polia, “è la parola del sapiente e del dio (l’uno è nell’altro) che scocca e dà la vita e la morte”. [5]
Il culto di Hu Gadarn non ebbe consenso unanime, in quanto troppo contaminato dal cristianesimo.
Sion Cent (XV secolo), che non era cattolico, ma esponente del neo druidismo, (ha tentato la restaurazione del druidismo pagano organizzando conventi segreti, i Cyrail), redattore di un catechismo segreto che insegnava la trasmigrazione delle anime, condannò il movimento di Hu.
[1] Jean Reynaud, L’esprit de la Gaule, Firme, Paris, 1864
[2] Hersart de la Villemarqué, Les bardes bretons, Didier, Paris, 1860
[3] Vedi Mario Polia, Le rune e i simboli, Il cerchio-Il corallo
[4] Mario Polia, Le rune e i simboli, Il cerchio-Il corallo
[5] Mario Polia, Le rune e i simboli, Il cerchio-Il corallo