Pitachina, ovvero Perchta, la “Signora del gioco”

Una leggenda tramandata oralmente a Cevo, in provincia di Brescia, mi è stata narrata dalla madre di Lorenzo Cervelli, Enrichetta Gozzi, con una filastrocca.

“Quanche la Cumpagnia la rua al dos de Re, la “Pitachina” la alsa so al pè; quanche la cumpagnia la rua al dos de Brata, la “Pitachina” la ghigna che la crapa; quanche la cumpagnia la rua al dos de la Roca, la “Pitachina” la sa copa”.

Quando la Compagnia arriva al dos del Re, la Pitachina alza il piede. Quando la compagnia arriva al dos de Brata, la Pitachina ride a crepapelle. Quando la compagnia arriva al dos della Roca, la Pitachina si uccide.

La Pitachina, secondo la leggenda, era una strega che arrivava da Andrista con la “Compagnia”, ossia con un gruppo di streghe e di anime di morti, e si dirigeva verso il Dos Merlino, passando dal Dos del Re, località tra Fresine e Zimilina di Cevo, dove in inverno le donne di Fresine andavano e vanno tuttora a scaldarsi al sole (a Fresine il sole non arriva da fine ottobre al 13 gennaio). Il Dos de Brata è il dosso Merlino. Quando la Pitachina arrivava sul Dos de la Roca (posto sul crinale tra Cevo e Sonico) la Pitachina si uccideva.

Siamo in presenza del mito dei viaggi notturni delle schiere di donne guidate  da Abundia-Satia-Diana- Perchta, Holle e quindi con quello della caccia selvaggia o esercito furioso di odinica memoria.

“In Svizzera – scrive in proposito Marie Louise Von Franz – abbiamo ciò che si chiama la Salige Lut, la caccia selvaggia. Qui e in molti altri paesi europei, i morti vanno in giro con Wotan nell’oscurità della notte degli ultimi giorni di ottobre fino al secondo giorno di novembre. Questo è sempre il periodo in cui vi sono grandi temporali  e il dio del vento è estremamente in evidenza. Sotto la guida di Ermes-Mercurio nel mondo greco romano e di Wotan dall’altra parte delle Alpi, i morti venivano dall’aldilà e vagavano intorno”[1].

La strega Pitachina è con tutta probabilità la “Signora del gioco”, ossia la divinità norrena (germanica) Perchta (Percht, detta anche Holda, Oriente, Berthe, Berta), associata a Diana e dea della fertilità e della vegetazione. “Va considerata la possibilità che questa divinità, della quale la domina ludi (la Pertachina, corruzione di Perchtachina in Pertachina, n.d.a.) era una delle molte personificazioni, condividesse con Thor (divinità norrena e celtica, n.d.a.) il potere di richiamare in vita gli animali, così come pare condividesse con Odino la funzione di guida dell’esercito furioso”.[2]

Perchta è associabile a Freya o Freja (il cui nome significa Signora), sposa di Odr, probabile manifestazione di Odino. Freya, a sua volta, è spesso confusa con Frigga. Mentre la prima è dea dell’amore sensuale, Frigga lo è dell’amore matrimoniale e del destino. Rappresentano due aspetti (giovanile e maturo) della Dèa madre.

Holla, Hell, Holda, Perchta, fa notare Marja Gimbutas[3] è la brutta vecchia strega dal lungo naso, grossi denti, capelli arruffati, ossia quella che poi è diventata la “vecchia” da bruciare. La sua forza risiede nei denti e nei capelli. “E’ una donna che determina il clima e la neve. Allo stesso tempo rigenera la natura. E’ una donna che fa uscire il sole. Una volta all’anno compare come colomba, dono del cielo che assicura fertilità. Come rana, Holla riporta la mela rossa, simbolo della vita, alla terra dal pozzo in cui è caduta durante il raccolto. Il suo regno sono le viscere dei monti e delle grotte (Holla, nome della Dea, e Höhle, “grotta”, sono certamente connessi. Hell, nel suo significato attuale di “inferno” è un apporto dei missionari cristiani). A Holla, in quanto madre dei morti, si offriva il pane chiamato Hollenzopf,  “la treccia di Holle”, nel periodo di natale. Holinder “albero maggiore” era l’abero sacro della Dea dotato di poteri curativi. Sotto questo albero vivevano i morti”[4].

La Compagnia, ricorda, quella dei Benandanti (maghi e stregoni) friulani, dei quali ha scritto Carlo Ginzburg[5], combattenti per la fertilità, trasformati in professionisti nelle arti magiche, e Pitachina la domina cursus, “che nella tradizione demonologica comandava le orde stregonesche lanciate nella corsa verso il sabba”. [6]. “La caccia selvaggia è un mito in cui sono presenti demoni, figure ibride di animali: una forsennata e temuta orda notturna, in cui si riflettono molti elementi del corteo in volo al sabba, amalgamata al mito del corteo degli spettri”. [7]

Intorno all’anno Mille, Bucardo di Worms, nel De inantatpribus et auguris e nel De poenintentia “descrive molti culti pagani sopravvissuti e in particolare cita le cavalcate notturne delle streghe per il cielo in compagnia di Diana”.[8]

La Signora del gioco, “nella tradizione della stregoneria, era colei che aveva il compito di dirigere e coordinare le donne datesi a Satana e riunitesi nel sabba.

Si tratta di tradizioni religiose precristiane connesse ai culti stagionali”. [9]

Una versione della leggenda della Signora del gioco la troviamo anche in quanto narra Daniela Rossi[10]: “Tra Cevo e Saviore, al Bàit dei Sàncc (Fienile dei Santi), di notte si sente la Dòna del zöck, la Signora del gioco, residuo di antiche divinità pagane, forse una volgarizzazione di Erodiade o Diana; tale entità è citata nel Canon Episcopi, apportatrice di danni e paure. Secondo la tradizione saviorese, in questo fienile ridde di demoni d’ogni sorta intessevano danze sabbatiche: talvolta i giovani del paese venivano invitati a festeggiare da avvenenti creature, che rivelavano poi la loro natura, mostrando ripugnanti piedi di capra. Chi osasse avvicinarsi vedrebbe “un lume in basso quando si trova in alto, in alto quando si trova in basso”. Quando la Dòna del zöck giungeva nei pressi di baite isolate, faceva impazzire gli animali, graffiava porte e finestre, lasciava i prati ricoperti d’escrementi; si potevano vedere i segni della stregoneria sugli animali (come i crini intrecciati dei cavalli) che di lì a poco sarebbero morti.[11]

A queste leggende si collega anche quella della cagnolera, ossia di un rumore dovuto, secondo la tradizione, alle anime dei morti. Rumore che si sentiva di notte nei pressi del cimitero di Cevo o della residenza dei Gesuiti.

[1] Marie Louise Von Franz, Il filo di paglia, il tizzone e il fagiolio, Moretti & Vitali, Bergamo

[2] Massimo Centini, Le bestie del diavolo, Gli animali e la stregoneria tra fonti storiche e folklore, Rusconi, Milano, 1998

[3] Marja Gimbuta, Il linguaggio della Dèa,

[4] Marja Gimbutas, Il linguaggio della Dèa,

[5] Carlo Ginzburg, I Beneandanti, Einaudi

[6] Massimo Centini, Le bestie del diavolo, Gli animali e la stregoneria tra fonti storiche e folklore, Rusconi, Milano, 1998

[7] Massimo Centini, Le bestie del diavolo, Gli animali e la stregoneria tra fonti storiche e folklore, Rusconi, Milano, 1998

[8] Laura Rangoni, Le fate, Xenia

[9] Massimo Centini, Le bestie del diavolo, Gli animali e la stregoneria tra fonti storiche e folklore, Rusconi, Milano, 1998

[10] Daniela Rossi, op. cit.

[11] Daniela Rossi, op.cit.

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