L’Amore, con la A maiuscola, è il filo conduttore di Aurum, romanzo storico di Mirko Bosio che narra delle vicende dell’eroico popolo celtico dei Salassi, il quale popolò le valli del Piemonte e della Valle D’Aosta fino a quando il rullo compressore degli eserciti romani non lo confinò nel fondo delle convalli e nel folto dei boschi, per far sopravvivere una tradizione antica e la sacra sapienza dei druidi.
Amore è quella forza prorompente che dà inizio all’universo; è un amore primordiale dal quale scaturiscono le declinazioni dell’amore per un popolo, per gli avi, per la tradizione, per la conoscenza. C’è l’amore tra gli umani: quello del giovane discepolo per il maestro, quello del giovane amante per la sua amata, quello del padre per i propri figli.
In questo intreccio di storie d’amore, Mirko Bosio ne mette al centro una , quella di anime gemelle che, quando si incontrano, formano un cerchio, simbolo della perfezione.
In questo incontrarsi di anime speciali c’è un amaro risvolto: la vita si incarica di farle incontrare, di far loro vivere momenti magici e sconvolgenti, ma anche di separarle per anni, per poi, forse, farle magicamente incontrare.
Il tema delle anime gemelle ne introduce uno più vasto: la reincarnazione, il ritorno di vita in vita sul palcoscenico del mondo. Lo apprende sulla sua pelle il giovane druido mandato in terre lontane alla ricerca di Ipparco, lo sa il vecchio druido capace di incontri animici astrali.
Il tema si allarga ulteriormente e tocca uno dei punti cruciali dell’esistenza umana: il libero arbitrio. Il giovane druido può scegliere di non eseguire il compito che gli viene assegnato, ma il vecchio druido lo esorta a fare ciò che il destino gli ha assegnato: “Devi seguire il disegno che è stato tracciato per te…e presto lo scoprirai. Noi siamo soltanto anime che attraversano il tempo viaggiando sulla terra. Non capiamo quasi nulla di ciò che avviene e si trasforma. La nostra vita è troppo breve, ma qualcuno ha previsto per noi un ruolo e a quel ruolo non possiamo sfuggire”.
Uno degli aspetti salienti del romanzo è l’intreccio sapienziale che unisce i saggi dei Celti con quelli dei Greci e il riconoscimento di una radice iniziatica egizia che li accomuna.
Di indubbia tensione emotiva è l’incontro astrale tra l’arcidruido Deaglan e il dio della conoscenza egizio Thoth, il quale gli trasmette quello che è uno degli insegnamenti fondamentali del druidismo: “L’unica possibilità che avrai di conoscere la verità, sarà divenire tu stesso la verità, perché l’unico modo per comprendere l’esistenza è divenire l’esistenza e l’unico modo per percepire Dio è divenire Dio”.
All’arcidruido, Thoth consegna un altro insegnamento fondamentale: “I simboli sono la chiave della crescita dello spirito. Attraverso il linguaggio allegorico, il sapere si tramanderà tra gli iniziati, era dopo era. Proteggi i simboli, Deaglan. Proteggili perché in essi resterà impressa l’anima del tuo popolo nei secoli a venire”.
Qui Mirko Bosio riprende il tema di un suo precedente lavoro, ossia quello del dovere di custodire l’antica sapienza.
In questo intreccio virtuoso tra antiche culture, ai Romani è riservata solo la tracotanza della conquista, la sete di potere e il disprezzo della vita altrui. Forse qui c’è una forzatura, ma dalle pagine di Mirko Bosio trasuda un antico dolore, che coinvolge: quello del suo antico popolo distrutto e schiavizzato.
La ferita (vale per il distacco delle anime gemelle, vale per il tormento di un popolo) genera, anche quando si è rimarginata, un sordo dolore che pare non dover cessare mai.
Silvano Danesi